venerdì 1 luglio 2016

Somos (2-7-2005)




Casi nunca hablo de ti.
Es más difícil contigo que con ellos, que son mi piel, son yo misma vestidos de minúsculas personas.
Ellos, que ya existían mucho antes de que los pensara.
Tú no.
Tú has entrado sin permiso, sin pasaporte, en son de paz pero armado de palabras, invadiendo mis fronteras y ocupando mi corazón.
Me has arropado con pedazos de ti y con los bolsillos llenos de recortes de tu pasado mezclados a los mios, un día viniste para llevarme lejos y ser lo que somos.

                                                                                   



 Somos la guerra desde el principio y la paz sin tregua,
somos un armario de tela y una cama pequeña,
somos un anillo de flores que era para siempre,
somos menos de los que habríamos querido.
Somos el espacio que abunda y que se regala,
los planes absurdos y los proyectos extraordinarios,
somos las decisiones que nos desnudan.
Somos los galeotes de un barco que naufraga
Y los marineros que lo salvan atravesando la tormenta.
Somos las cosas que sabemos sin haberlo querido,
somos los viejos amigos y también los nuevos.
Somos el llanto y la risa,  
el remordimiento a veces y una razonable añoranza.  
Somos las cosas que nos hemos dicho
sentados en una roca al borde del lago,
o masticando kilómetros por la carretera.
Somos el teléfono que silencioso es desquite,
somos una copa de vino,
y el bisbiseo que atraviesa la oscuridad esquivando pequeños durmientes,
somos los labios que no se mueven porque se han entendido los ojos.
Somos los años que vuelan veloces,
los zapatos amontonados detrás de la puerta,
los vestidos de colores, las palabras derramadas,
las camas deshechas, los momentos fugitivos,
las premura, el cansancio, las largas noches,
los abrazos que no fueron y los besos olvidados,
los demasiados cafés, el sol en el patio,
el amor que ha decidido quedarse.
Después de tanto tiempo y sin embargo tan poco,
nosotros somos Casa.




Siamo (2-7-2005)

  


Non ho mai parlato di te.
Con loro mi viene più facile. Loro sono la mia pelle, il mio respiro.
Loro erano me già prima di essere nati.
Tu no.
Tu sei arrivato a un certo punto della mia vita senza preavviso.
Hai occupato i miei spazi e il mio cuore 
senza chiedere il permesso.
Mi hai sommerso di pezzi di te, 
di parole, di pensieri.
E poi sei venuto a prendermi per portarci via ed essere quelli che siamo,
con i nostri discorsi interminabili
e i cocci del tuo passato nelle tasche
 insieme ai miei.



Siamo il litigio dal primo giorno e poi subito la pace,
siamo l'armadio di stoffa e un letto singolo,
siamo l'anello fatto di fiori che era per sempre,
siamo in meno di quelli che avremmo voluto.
  Siamo lo spazio in più da regalare,
i piani assurdi e i progetti strabilianti,
siamo le decisioni che parlano di noi.
  Siamo i galeotti su una nave che affonda
e i marinai che la guidano attraverso la tempesta portandola in salvo.
  Siamo le cose che abbiamo saputo e che non avremmo voluto,
siamo gli amici vecchi e quelli nuovi,
siamo il pianto e la risata,
il pentimento a volte e il rimpianto quanto basta.
  Siamo le cose che ci siamo detti
su una panchina del lungo lago,
o macinando chilometri seduti in macchina.
  Siamo il telefono che non squilla per dispetto,
siamo un bicchiere di vino,
e il bisbiglio che attraversa il buio serpeggiando tra piccoli dormienti,
siamo le labbra che non si muovono perché ci siamo già capiti.
  Siamo gli anni che corrono veloci, 
le scarpe buttate a caso sul pavimento,
i vestiti colorati, le parole sparpagliate, 
i letti disfatti, i momenti inafferrabili, 
le corse, la stanchezza, le nottate,
gli abbracci mancati e i baci dimenticati, 
i troppi caffè, il sole nel cortile,
l'amore che rimane.
  Dopo così tanto, eppure ancora poco, 
noi siamo Casa. 










giovedì 9 giugno 2016

NOI E IL CALCIO PARTE II (STAGIONE CALCISTICA 2015-2016)

E rieccoci qua, dopo due anni, a tirare le somme.

Il calcio è entrato prepotente in casa nostra, non l'avrei mai detto. Insieme alle magliette luride, alle zolle di fango e quello che è peggio (e anche questo non l'avrei mai detto), alle collose e infide foglie d'erba sintetica.
A distanza di un paio di inverni e contro ogni mia previsione (vedi Noi e il calcio parte I) è venuto fuori, pur ancora timidamente e con le dovute limitazioni di misura, il portiere che era in lui.
 Siamo arrivati sani e salvi alla fine dell'anno calcistico. Più sani che salvi, visti i risultati. Ma abbiamo lasciato indietro un anno sportivo emotivamente altalenante.
Non avrei mai detto (in poche righe quante cose non avrei mai detto e invece mi trovo a dire) che il calcio avrebbe fatto crescere i bambini e ci avrebbe dato lungo questi mesi mille spunti educativi dove attaccarci, avidamente, per affrontare situazioni di sconforto, gioia, violenza, amicizia, delusione, gelosia, vittoria e sconfitta.
Ci siamo imbattuti con il meteo, fiduciosi e caparbi, sommersi dal fango o congelati fino al midollo.
Chi ha perso divise, rotto pantaloni, piegato ossa e smarrito ogni pazienza.
Siamo arrivati alla fine leggermente ammaccati, anche noi adulti, che non sapevamo di essere un po' bulli e un po' guerrieri, che abbiamo imparato che il gruppo fa la forza, ma che non sempre si ha ragione su tutto. 
Abbiamo imparato che anche il modo di lottare si insegna ai bambini, non solo l'obbiettivo.
Ci siamo raccontati storie e abbiamo condiviso gli ombrelli mentre le distanze fisiche tra i nostri figli si accorciavano prendendo la forma degli abbracci.
Abbiamo scoperto che ci sono ragazzi giovani che hanno sorrisi meravigliosi, del tempo scarno che ricavano per noi e che sanno aprire grandi le braccia per farci stare dentro tutta la nostra piccola squadra.
Abbiamo deciso che si rimane insieme perché qualcosa in ognuno di noi ci accomuna.
Si riconoscono già i campioncini, e quelli per cui il calcio sarà solo uno sport divertente. Ma sono tutti cresciuti, cambiati, entusiasmati.
Io so che arriverà un giorno dove chi non giocherà quella partita, perché non convocato, andrà lo stesso a tifare i compagni dalle tribune, centrando il bersaglio: non vincere i campionati, ma aver imparato a riconoscere, anche quando non saremo più noi, la ricchezza di fare e di essere, sempre e comunque, una squadra.


NOI E IL CALCIO PARTE 1 (SETTEMBRE 2014)



Sono riuscita finalmente a vederlo in azione. Come volevasi dimostrare il calcio non fa per noi. Io lo dicevo che non doveva entrare in casa se non a scadenza biennale con europei e mondiali. Non è mai stato  il nostro sport e forse non lo sarà mai, salvo miracoli o mutazioni genetiche che provochino una  variazione ‘pirlesca’ nel DNA familiare,  magari nel corso dei prossimi cent’anni e dopo svariate generazioni.
Lo guardo saltellare entusiasta, lontano qualche metro dalla palla e dei piccoli e avidi futuri campioni, mentre svanisce nel nulla il mio sogno di vacanze vip in Sardegna.
Ogni tanto tocca la palla, festeggia i propri goal come se si trattasse della finale di Champions e si catapulta a terra per fermare un tiro senza pensarci un secondo.  Ogni cinque minuti si controlla le ferite delle ginocchia. Si tira su i calzini. Si sistema le mutande. E si riguarda le ginocchia. I primi segni dei tacchetti ( per ora i suoi, riesce persino a farsi male da solo) sulle gambe gli sembrano già bellissime ferite di guerra.
Eppure non è tra i peggiori. Anche senza occhiali riesco a distinguere quelli che sono stati portati in campo obbligati dai genitori (si riconoscono perchè trascinano le gambe da una parte all’altra, guardano altrove mentre calciano -qui forse non c’è molta differenza con gli altri- e sguardano verso le tribune, sperando che il papà si sia ricordato almeno di comperare il sacchetto di patatine al bar del campetto) da quelli che ci sono andati obbligando i loro, di genitori (corrono senza sosta, così, anche senza senso, basta che hanno una palla vicino e finiscono ogni riserva di energia, incredibile ma vero).
E io a quei genitori malati di calcio dico: come si fa a obbligare un bambino a passare i prossimi 6 mesi sotto la pioggia e il freddo se non te l’ha chiesto considerando che poi li dovrai passare anche tu insieme a lui?
Chissà se quando sarò sepolta dalla neve, congelata e all’ennesimo raffreddore, riuscirò a godermi le sue gioiose e infreddolite corse dietro la palla. Ma i bambini e i loro piccoli pensieri hanno una forza travolgente, hanno la fortuna di credere che i loro sogni possono diventare realtà. Quindi, mio piccolo Buffon, goditi le tue sgambettate spensierate. Non si sa mai che un giorno venga fuori il calciatore che è in te. Buon divertimento.

venerdì 20 maggio 2016

Risposte difficili


E' domenica pomeriggio. Non ci sono grandi cose da fare. E decidiamo di buttarci tutti a letto, una di quelle dormite pigre che si dovrebbero fare almeno una volta a settimana, ma poi le sostituiamo con altri impegni meno benefici.
Lui dice che non dorme. Lui è grande e non riposa di pomeriggio. Invece dopo qualche minuto chiede di entrare nel lettone, un po' si vergogna, ma viene lo stesso. Dice che vuole solo rimanere con gli occhi aperti.
Ma alla fine ci addormentiamo tutti, con quel sonno pesante che ti sembra di dormire sotto il materasso e le doghe invece che coperto da un leggero piumone.
Dopo un po', incapace di godermi questo riposo gratuito, mi sveglio. C'è luce nella stanza, abbiamo lasciato la tapparella aperta. In mezzo al lettone c'è lui, che dorme profondamente. Mi giro sul fianco e approfitto per guardarlo. Ormai è da tanto tempo che non si fa studiare così da vicino.
Ha il viso completamente rilassato e incredibilmente, lui che è un groviglio di nervi e pensieri anche mentre dorme, non ha addosso una goccia del suo solito sudore.
Guardo la sua pelle liscia e mi chiedo quando succederà che quella pelle perfetta si ricoprirà di peluria e bruffoli, sperando che sia il più tardi possibile, che rimanga ancora piccolo per un po', con il suo viso morbido e lontano dall'incasinata adolescenza.
Ha la fronte di suo padre, le sopracciglia scolpite e le ciglia scure, gli occhi che cadono giù e sembrano tristi anche quando non lo sono. Respira piano, forse fa dei sogni belli, chissà.
E' magro, il piumone sopra di lui è quasi liscio. Mi sembrano tutti così minuti quando dormono...
Avvicino il mio viso al suo e sorrido pensando alle sue smorfie da sveglio ogni volta che cerco di baciarlo. Lui ormai è lontano dalle coccole e gli abbracci li dosa con parsimonia.
Lui, che quando ha saputo poche ore prima che la fatina dei denti arriva solo per fare felice i piccoli ha risposto semplicemente "lo sapevo già", in un tono tra il sollievo e la delusione, diventando un po' più grande.
Dopo si è svegliato, e mi ha guardato per un attimo imbarazzato di trovarsi in mezzo a mamma e papà , una così evidentemente infantile sotto la luce del sole pomeridiano. Chiedo se ha riposato bene e dice imbronciato che non ha dormito assolutamente niente perché lui non dorme nel lettone. Figurarsi.
Poi si rilassa di nuovo e parliamo piano mentre si svegliano gli altri. Ma prima dell'arrivo dei suoi fratelli in stanza si presta a saziare la sua nuova e splendente curiosità, quella di chi guarda da sopra la spalla la prima infanzia. "E quindi, Babbo Natale?, voglio la verità, però".
Eccolo. Lui forse è pronto, ma noi no.
"Quello è vero. Sennò come si fa con tutti i regali? E poi una volta l'hai visto, ti ricordi?".
Allora tace guardingo e si fa andare bene la risposta, perché anche lui preferisce così. Per ora.
Ed è quello l'istante dove si capisce, come in un'ondata di paura, che le Domande con la d maiuscola sono a malapena iniziate.