giovedì 9 giugno 2016

NOI E IL CALCIO PARTE II (STAGIONE CALCISTICA 2015-2016)

E rieccoci qua, dopo due anni, a tirare le somme.

Il calcio è entrato prepotente in casa nostra, non l'avrei mai detto. Insieme alle magliette luride, alle zolle di fango e quello che è peggio (e anche questo non l'avrei mai detto), alle collose e infide foglie d'erba sintetica.
A distanza di un paio di inverni e contro ogni mia previsione (vedi Noi e il calcio parte I) è venuto fuori, pur ancora timidamente e con le dovute limitazioni di misura, il portiere che era in lui.
 Siamo arrivati sani e salvi alla fine dell'anno calcistico. Più sani che salvi, visti i risultati. Ma abbiamo lasciato indietro un anno sportivo emotivamente altalenante.
Non avrei mai detto (in poche righe quante cose non avrei mai detto e invece mi trovo a dire) che il calcio avrebbe fatto crescere i bambini e ci avrebbe dato lungo questi mesi mille spunti educativi dove attaccarci, avidamente, per affrontare situazioni di sconforto, gioia, violenza, amicizia, delusione, gelosia, vittoria e sconfitta.
Ci siamo imbattuti con il meteo, fiduciosi e caparbi, sommersi dal fango o congelati fino al midollo.
Chi ha perso divise, rotto pantaloni, piegato ossa e smarrito ogni pazienza.
Siamo arrivati alla fine leggermente ammaccati, anche noi adulti, che non sapevamo di essere un po' bulli e un po' guerrieri, che abbiamo imparato che il gruppo fa la forza, ma che non sempre si ha ragione su tutto. 
Abbiamo imparato che anche il modo di lottare si insegna ai bambini, non solo l'obbiettivo.
Ci siamo raccontati storie e abbiamo condiviso gli ombrelli mentre le distanze fisiche tra i nostri figli si accorciavano prendendo la forma degli abbracci.
Abbiamo scoperto che ci sono ragazzi giovani che hanno sorrisi meravigliosi, del tempo scarno che ricavano per noi e che sanno aprire grandi le braccia per farci stare dentro tutta la nostra piccola squadra.
Abbiamo deciso che si rimane insieme perché qualcosa in ognuno di noi ci accomuna.
Si riconoscono già i campioncini, e quelli per cui il calcio sarà solo uno sport divertente. Ma sono tutti cresciuti, cambiati, entusiasmati.
Io so che arriverà un giorno dove chi non giocherà quella partita, perché non convocato, andrà lo stesso a tifare i compagni dalle tribune, centrando il bersaglio: non vincere i campionati, ma aver imparato a riconoscere, anche quando non saremo più noi, la ricchezza di fare e di essere, sempre e comunque, una squadra.


NOI E IL CALCIO PARTE 1 (SETTEMBRE 2014)



Sono riuscita finalmente a vederlo in azione. Come volevasi dimostrare il calcio non fa per noi. Io lo dicevo che non doveva entrare in casa se non a scadenza biennale con europei e mondiali. Non è mai stato  il nostro sport e forse non lo sarà mai, salvo miracoli o mutazioni genetiche che provochino una  variazione ‘pirlesca’ nel DNA familiare,  magari nel corso dei prossimi cent’anni e dopo svariate generazioni.
Lo guardo saltellare entusiasta, lontano qualche metro dalla palla e dei piccoli e avidi futuri campioni, mentre svanisce nel nulla il mio sogno di vacanze vip in Sardegna.
Ogni tanto tocca la palla, festeggia i propri goal come se si trattasse della finale di Champions e si catapulta a terra per fermare un tiro senza pensarci un secondo.  Ogni cinque minuti si controlla le ferite delle ginocchia. Si tira su i calzini. Si sistema le mutande. E si riguarda le ginocchia. I primi segni dei tacchetti ( per ora i suoi, riesce persino a farsi male da solo) sulle gambe gli sembrano già bellissime ferite di guerra.
Eppure non è tra i peggiori. Anche senza occhiali riesco a distinguere quelli che sono stati portati in campo obbligati dai genitori (si riconoscono perchè trascinano le gambe da una parte all’altra, guardano altrove mentre calciano -qui forse non c’è molta differenza con gli altri- e sguardano verso le tribune, sperando che il papà si sia ricordato almeno di comperare il sacchetto di patatine al bar del campetto) da quelli che ci sono andati obbligando i loro, di genitori (corrono senza sosta, così, anche senza senso, basta che hanno una palla vicino e finiscono ogni riserva di energia, incredibile ma vero).
E io a quei genitori malati di calcio dico: come si fa a obbligare un bambino a passare i prossimi 6 mesi sotto la pioggia e il freddo se non te l’ha chiesto considerando che poi li dovrai passare anche tu insieme a lui?
Chissà se quando sarò sepolta dalla neve, congelata e all’ennesimo raffreddore, riuscirò a godermi le sue gioiose e infreddolite corse dietro la palla. Ma i bambini e i loro piccoli pensieri hanno una forza travolgente, hanno la fortuna di credere che i loro sogni possono diventare realtà. Quindi, mio piccolo Buffon, goditi le tue sgambettate spensierate. Non si sa mai che un giorno venga fuori il calciatore che è in te. Buon divertimento.