domenica 31 agosto 2014

La sirena




   Viveva sotto il mare, cullata dalle maree, ricoperta di squame color smeraldo, respirando bollicine salate.  Aveva i capelli inanellati, scompigliati dalle onde e intrecciati con alghe, tra i quali nuotavano piccoli pesci iridati.
   Viveva seduta sopra le rocce, quasi immobile, sul fondo della scogliera. Là dove si infrangono le onde, sotto la schiuma. Non parlava con nessuno. Aveva la bocca chiusa in un triste sigillo. I denti aguzzi si vedevano appena tra le labbra, che formavano una linea nera in un volto niveo. Gli occhi verdi, luminosi e senza pupille, occhi di sirena, erano sempre aperti, giorno e notte.

  Come una statua di bronzo, come una reliquia antica. Guardava un punto nell’orizzonte abissale, oltre la sabbia brumosa spolverata di stelle e molluschi. Otre il buio, dove il mare è così profondo che persino le sirene hanno paura.  Aveva il viso bianco e freddo, le mani riposando sul ventre sterile. Soltanto la lunga chioma si muoveva intorno al corpo, accarezzandole la pelle al ritmo della marea.
  La sirena era vittima di un crudele incantesimo. Non era come le altre. Lei poteva sentire. Senza uscire alla superficie, senza avere mai toccato un ciottolo della costa, sentiva incessantemente le voci di tutti gli uomini.
  Una mattina, nella profondità dell’insenatura, cominciò ad avvertire suoni, mentre dentro la sua testa si insinuava il mondo esteriore. Spaventata, si sedette sulle rocce per capire quello che, senza permesso, si era rivelato dentro le sue orecchie affilate torturandole la mente.
  Fuori dall’acqua esisteva un mondo diverso, arido, sterile come il suo ventre di creatura immortale. Immobile come le rocce della scogliera. Scoprì che potevano respirare soltanto l’aria calda,  li aveva visti altre volte camminare sulla costa, quando, durante il tramonto, affacciava i suoi occhi da sirena sull’orlo dell’acqua per vedere le stelle tra le dune.

 Scoprì che vivevano in gruppi, in piccoli banchi, quasi come i pesci. Ma non per proteggersi tra loro, no. Aveva sentito parole di amore e disprezzo. Persino pianti, lacrime e, di rado, ridere. Si contorceva le mani affusolate guardando il vuoto acquoso, senza capire, ascoltando.  
  Scoprì che mangiavano i propri simili, aveva sentito anche quello. Parole di morte e urla di dolore. Suppose che si alimentassero della loro stessa carne.  Scoprì che non c’era un ordine prestabilito e che le lingue erano diverse. Che l’inflessione della voce poteva comunicare sensazioni completamente contraddittorie.
  Scoprì che non tutti dormivano dopo il tramonto, e che a volte le luci che illuminavano il cielo non erano soltanto tormente, che l’alba non sempre portava risvegli.

  Alcune conversazioni parlavano di pioggia, di vento, di mani intrecciate e abbracci. Arrivavano fino a lei lo schiocco dei baci e i sussurri delle voci infantili. La raggiungevano grosse rissate, il rumore degli uccelli, dell’acqua e dei rami degli alberi. Mormorii conosciuti, sentiti mille volte nella spiaggia. Quando la sabbia scotta a mezzogiorno o diventa fresca all’ora delle ombre.
  Quando sentiva quei suoni non si muoveva nemmeno un millimetro. Ascoltava con attenzione, compiaciuta, finche le voci si allontanavano dalla sua mente.

  Ma succedeva poche volte. Spesso erano urla, colpi. Sentiva  pelle contro pelle, dieci, cento, mille volte, fino a che non assaggiava nella propria bocca il sapore del sangue.  Sentiva il metallo scivolare attraverso la carne e grida terrorizzate, a volte fragori ed esplosioni. Poi il silenzio.
  Scoprì l’odio all’interno di una specie.

  Mentre guardava i riflessi dell’acqua, lasciandosi accarezzare il viso dai capelli, mentre la luce del sole ballava con le onde e i colori della baia, scoprì che la vita nel mondo arido non valeva niente. Che camminava verso l’estinzione. 
  Ogni giorno e ogni notte, stringendo i denti, quasi senza respirare il mare, attendeva che le voci se ne andassero per sempre.
  Ma non successe. Con la testa piena di parole e frastuoni, la sirena degli occhi verdi senza pupille, non poté più sopportarlo.

  Si allontanò dalla scogliera, nuotando verso le profondità che temeva così tanto. Nuotò fino a perdere le squame e i capelli, veloce, attraverso l’oscurità. Fuggendo da voci e urla, dal sapore del sangue che le riempiva la bocca ogni volta che udiva una morte. Fuggendo dal dolore dell’altro mondo, terribile, violento. Fuggendo da un orrore più grande di tutto l’amore che il vento portava fino alla spiaggia ogni sera.
  Le voci non l’abbandonarono mai. Rimassero dentro di lei giorno dopo giorno. Non avvertiva più le correnti dell’oceano, né il bisbiglio dei pesci vicino al suo collo.
 
  E morì, anche se le sirene non muoiono mai. Ma lei si. Morì di tristezza, con gli occhi spalancati e le mani che coprivano le orecchie affilate. Morì con la bocca aperta, gridando sotto il mare, un urlo ovattato incorniciato di bollicine.
  I pesciolini iridati mangiarono le sue squame e poi la seppellirono sotto la sabbia, ricoprendola di stelle di mare. Le lasciarono gli occhi aperti, perché non avesse paura del buio e riempirono le sue orecchie di piccole conchiglie, così non avrebbe mai più sentito nient’altro che le maree.

domenica 24 agosto 2014

La sirena


  Vivía debajo del mar, mecida por las ondas, cubierta de escamas color esmeralda y respirando burbujas saladas. Tenía los cabellos ensortijados, revueltos por las olas y entrelazados con algas, entre los que nadaban pequeños peces irisados.
  Vivía sentada sobre unas rocas, casi inmóvil,  en el fondo del acantilado. Allá donde rompen las olas, bajo la espuma.  No hablaba con nadie. Tenía la boca cerrada en una mueca triste. Los dientes afilados apenas se veían a través de los labios. Eran una línea negra en un rostro níveo. Los ojos verdes, brillantes y sin pupilas, ojos de sirena, se mantenían abiertos día y noche.
  Como una estatua de bronce, como una reliquia antigua. Miraba un punto en el horizonte abisal, más allá de la arena borrosa teñida de estrellas y moluscos. Más  allá de la oscuridad, donde el mar es tan profundo que hasta las sirenas tienen miedo.

  Tenía la tez blanca y fría y las manos descansando sobre su regazo estéril. Sólo se movía su larga melena alrededor del cuerpo, acariándole la piel al ritmo de la marea.
  La sirena era víctima de un cruel embrujo. No era como las demás. Ella podía oir cosas. Sin salir a la superficie, sin haber tocado jamás un guijarro de la costa, oía incesantemente las voces de todos los hombres.

  Una mañana, en las profundidades de la ensenada, empezó a escuchar sonidos mientras dentro de su cabeza se reflejaba el mundo exterior.
  Asustada, se sentó sobre las rocas para comprender lo que se había revelado sin permiso en sus oidos picudos y torturaba su mente.

  Fuera del agua existía un mundo diverso, árido, estéril como su vientre de criatura inmortal. Inmóvil como las rocas del acantilado.
  
  Descubrió que podían respirar solamente el aire caliente, aunque ya los había visto a lo lejos otras veces caminando por la costa , cuando asomaba sus ojos de sirena sobre el borde del agua al anochecer para ver las estrellas tras las dunas.
  Descubrió que vivían en grupos,  en pequeños bancos, casi como los peces. Pero no para protegerse los unos a los otros, no. Había oído palabras de amor y desprecio. Y también llantos, lágrimas y, sólo a veces, risas. Se retorcía las manos afiladas mirando el acuoso vacío, sin entender, escuchando.
  Descubrió que se comían a sus semejantes, eso también lo había oído. Palabras de muerte y gritos de dolor. Supuso que se alimentaban de su propia carne.
  Descubrió que no había un orden establecido y que las lenguas eran diferentes. Que la inflexión de las voces podía comunicar sensaciones completamente contradictorias.    Descubrió que no todos dormían después del anochecer, que a veces las luces que iluminaban el cielo no eran sólo tormentas, que el alba no siempre traía despertares.

  Algunas conversaciones hablaban de lluvia, de viento, de manos entrelazadas y de abrazos. Venían hasta ella el chasquido de los besos y los susurros de voces infantiles. Le llegaban carcajadas, el ruido de los pájaros, del agua y de las ramas de los árboles. Murmullos conocidos, oídos mil veces en la playa. Cuando la arena arde a mediodía o se vuelve fresca al caer de las sombras.
  Cuando percibía esos sonidos intentaba no moverse. Escuchaba con atención, complacida, hasta que las voces se alejaban de su mente.

  Pero sucedía pocas veces. A menudo eran gritos, golpes. Oía piel contra piel, varias, cien, mil veces, hasta que en la boca sentía el sabor de la sangre. Oía el metal resbalar a través de la carne y aullidos aterrados. A veces fragor y estallidos. Depués silencio.
  Descubrió el odio al interno de una especie.
  Mientras fijaba los reflejos del agua dejándose acariciar el rostro por los cabellos, mientras la luz del sol bailaba con las ondas y los colores de la bahía, descubrió que la vida en el mundo árido no valía nada. Que caminaba hacia la extinción.

  Cada día y cada noche, con los dientes apretados, casi sin respirar el mar, esperaba que la voces se alejaran para siempre.
  Pero no ocurrió.  Con la cabeza llena de palabras y estruendo, la sirena de ojos verdes y sin pupilas, no pudo soportarlo más.
  Se alejó del acantilado, nadando hacia las profundidades que tanto temía. Nadó hasta que empezó a perder escamas y cabellos, veloz, a través de la oscuridad. Huyendo de las voces y los gritos, del sabor a sangre que le llenaba la boca cada vez que oía una muerte.   Huyendo del dolor del otro mundo, terrible, violento. Huyendo de un horror que superaba con creces el amor que el ruido del viento conseguía traerle hasta la playa cada tarde.

  La voces no la abandonaron jamás. Permanecieron en su interior día tras día. Ya no advertía las corrientes del océano, ni el susurro de los peces cerca de su pelo.
  Y murió, aunque las sirenas no mueren nunca. Pero ella sí. Se murió de pena, con los ojos abiertos y las manos cubriéndose las orejas puntiagudas. Se murió con la boca abierta, gritando bajo el mar, un sordo alarido repleto de burbujas.

  Los pececillos irisados se comieron sus escamas y luego la enterraron bajo la arena, cubierta de estrellas de mar. Le dejaron los ojos abiertos, para que no tuviese miedo de la oscuridad y luego le llenaron los oídos de pequeñas caracolas, para que ya nunca más oyera nada, excepto las mareas.