mercoledì 20 maggio 2015

Cenerentola e la neve

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Il principe le disse di mandarla a prendere, ma la matrigna rispose:
– Ah no, è troppo sporca, non può farsi vedere – .
Ma egli lo volle assolutamente e dovettero chiamar Cenerentola.
Ella prima si lavò ben bene le mani e il volto, poi andò a inchinarsi davanti al principe, che le porse la scarpa di cristallo. Allora ella si mise a sedere sullo sgabello, tolse il piede dal pesante zoccolo e l’infilò nella scarpetta: le stava a pennello. E quando si alzò, e il re la guardò in viso, egli riconobbe la bella fanciulla con cui aveva danzato e gridò: – Questa è la vera sposa! – La matrigna e le due sorellastre si spaventarono e impallidirono dall’ira, ma egli mise Cenerentola sul cavallo e se ne andò con lei. Quando passarono accanto al nocciolo, le due colombelle bianche gridarono:
– Volgiti, volgiti, guarda:
non c’è sangue nella scarpa,
che non è troppo piccina.
Porti a casa la vera sposina.
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Era passato più di un mese da quando non possedeva più le chiavi di casa. Aveva pensato di chiamare qualcuno e farsi aprire la porta. Ma era molto più grande il terrore di essere scoperta. Non poteva usare il telefono perché lui controllava le chiamate.

Si era seduta vicino alla finestra, leggermente nascosta dalle tende, per guardare la nevicata. Era meraviglioso. Aveva aperto i vetri appena per far entrare l’aria fresca e pulita del pomeriggio e qualche fiocco di neve spinto dal vento all’interno della cucina si scioglieva sul pavimento.

Respirò profondamente ad occhi chiusi, anche se era certa che dopo avrebbe sentito più intensamente l’odore che aleggiava all’interno della casa.

C’era una volta Cenerentola, che venne rinchiusa e tutto quello che c’era nel castello rimase chiuso con lei. Tutto. Per sempre.

La spazzatura si ammassava sotto le finestre della cucina. Il Principe non aveva voluto una casa con balcone. Sosteneva che era solo un vantaggio per i ladri. Così, i sacchetti si ammucchiavano un po’ dappertutto e Cenerentola apriva le imposte di sera per ventilare ogni angolo.

Mentre chiudeva la tapparella sentì il cellulare. Era lui, vedeva il suo viso sullo schermo e rispose obbediente.

“Pronto?”. “Arrivo”. “Ok”. E mise giù.

Zoppicando lentamente andò in bagno, si spogliò ed entrò in doccia. Sapeva di avere ancora una buona mezz’ora a disposizione, prima che il Principe rientrasse. Aprì l’acqua calda e la fece scorrere con sollievo sulla pelle nuda. In alcuni punti la temperatura le dava un po’ fastidio. Sui lividi delle cosce, sulle nocche screpolate delle mani e quella sera, particolarmente, sulle labbra. Erano tutte arrossate, anche sui bordi, come se avesse messo il rossetto come un pagliaccio. Cercò di evitare la caduta diretta dell’acqua su quei punti. Si insaponò con cura, con il bagnoschiuma che lui adorava. Si capiva da come le consumava il collo a furia di sentire il profumo quando l’abbracciava brusco entrando in casa.

L’accappatoio era vecchissimo e ruvido. Aveva tanti anni quanti lei. All’inizio vivevano d’aria e amore. Di pane e carezze. Di scarpette di cristallo piene di sogni. Ma mentre il Principe risparmiava e risparmiava, Cenerentola non vedeva un centesimo. Il tempo avrebbe portato castelli e desideri compiuti. Lui promise e lei credette ad ogni parola.

Si tamponò i capelli con la spugna. Non voleva consumare corrente con il phon. Si sarebbero asciugati da soli, anche se faceva un po’ freddo. Almeno avrebbero mantenuto il profumo del balsamo, e comunque a lui piacevano così, bagnati e morbidi.

Cercò gli slip. Forse quando le avrebbe ridato le chiavi, sarebbe andata a comperare qualche altra mutandina. Ne aveva appena tre e non ricordava che fine avessero fatto le altre. Mise un po’ di crema sulle mani screpolate e aspettò.

Fu tutto abbastanza veloce. Il rumore delle chiavi, la porta che sbatte. Il suo Principe che l’annusa voracemente e lei che si lascia fare sdraiata nel lettone. Poi, nuvole di sangue negli occhi e un sonno lungo un’ora che piomba all’improvviso.

Quando Cenerentola si svegliò nevicava ancora. In fondo non era passato poi così tanto tempo. Si alzò e cercò qualche vestito nell’armadio. Era un armadio bellissimo. Antico davvero, verniciato con oli speciali e tappezzato internamente con una morbida carta vellutata bianca e rossa. Adorava quell’armadio, sapeva d’altri tempi, magari felici, e soprattutto lontani da loro.

Ogni scaffale era ordinatissimo, i capi divisi con criteri solo a lei conosciuti. Anche se il suo Principe prendeva qualcosa ogni tanto e praticamente ad occhi chiusi, Cenerentola apriva con diligenza le grandi ante e ricollocava gli abiti nel posto esatto dove dovevano essere.

Nella sua parte di armadio c’era ben poco. Da molti mesi non usciva da casa se non per fare qualche spesa al supermercato o quando portava il piccolo a scuola, quindi i suoi vestiti erano pochi. Poi, l’ultimo mese, da quando lei l’aveva fatto arrabbiare, non aveva più nemmeno messo piede sul pianerottolo.

Si vestì con un pantalone della tuta e una felpa. Ormai nemmeno i reggiseni erano necessari avendo perso diversi chili. Il suo Principe era sicuramente contento. Senz’altro si compiaceva di non fare nessuna fatica a prenderla in braccio.

In cucina il suo Principe mangiava già. Che stupida. Aveva portato qualcosa da fuori e lei non se n’era nemmeno accorta dei sacchetti della spesa quando era entrato. Scaldò la sua porzione mentre lui si alzava ed usciva dalla stanza senza proferire parola. Fece appena in tempo a mangiare qualche boccone che arrivò ancora, da dietro le spalle, le tolse il piatto lanciandolo sul pavimento dove scoppiò in mille pezzi, e con la stessa forza il suo Principe la trascinò per terra fino alla camera da letto.

Dopo qualche ora aprì gli occhi. Si era addormentata un’altra volta. Chissà come mai succedeva così spesso ultimamente. Si ricordò che in cucina era ancora tutto da sistemare. Ormai erano le uniche cose che riusciva a fare. Mettere in ordine la cucina, riempire sacchetti di spazzatura da appoggiare sotto la finestra, aprire gli infissi, docciarsi ancora e tornare a letto. Forse per quello la casa puzzava in quel modo. O era solo una sua percezione. Lui non diceva niente, non si lamentava. Magari era lei ad immaginarlo, l’odore.

Una volta sdraiata di nuovo, sentì che le pizzicavano le braccia e le faceva un po’ male la testa. Il suo Principe diceva sempre che erano fantasie, che era suggestionata, che in realtà non aveva niente. Che doveva convincersi a prendere quelle pastiglie. Ma Cenerentola non voleva, altrimenti avrebbe dimenticato, prima o poi, il suo bambino. E lei non voleva dimenticare il suo visino dolce. E i sorrisi, e la sua manina morbida e calda mentre andavano a scuola.

Erano stati tanto insieme, sempre chiusi in casa. Ma il piccolo non sembrava accorgersene, perché aveva la mamma tutta per sé. E loro si abbracciavano e si baciavano, e il papà non la toccava finché il loro piccino non era a letto.

C’era una volta un giorno in cui il Principe decise di portarlo a scuola. “Ci penso io”, disse. E Cenerentola sentì un tonfo al cuore, ma lo lasciò andare.

Quel giorno tornò senza il loro figlio. “È in ospedale”, disse, “ti porto là”. E trovò il suo bambino già addormentato, coperto con un lenzuolo. Sotto c’era il suo visino violaceo e le mani morbide, fredde come il ghiaccio. Si spezzò una corda, cadde una montagna, si ruppe in mille pezzi il vetro di cui sono fatte le viscere di una mamma. E il buio calò dentro, per sempre.

“Ma lui lo amava come me”, si diceva come un mantra tutte le sere, da allora. E anche se il suo Principe fischiettava già dopo una settimana, lei sapeva che in fondo era dispiaciuto. Sicuramente. Era stato lui a volerlo, così tanto da ricordarle tutti i giorni, da quando erano insieme, che il suo utero doveva pur servire a qualcosa. Certo che lo amava, il bambino.

Per qualche mese tutto si era ridotto a niente. La casa cadeva a pezzi, il mondo cadeva a pezzi. Ogni cosa intorno a sé aveva perso il senso. Così decise che doveva uscire, camminare, respirare.

E l’aveva conosciuto.

In quei giorni il suo Principe non aveva ancora portato via le chiavi. Chiamava in continuazione per accertarsi che fosse in casa, ma Cenerentola aveva scoperto che per un paio di ore al giorno, sempre le stesse, il telefono non suonava mai. E decretò, in un accenno di audacia, che sarebbero state le sue ore di libertà.

Azzardò senza pensarci ad accettare un caffè. Non le era mai capitato di uscire da sola con un uomo che non fosse suo marito. E questo le diede improvvisamente un brivido di risolutezza, che riuscì a spazzare per un attimo il viso dolce e le mani morbide che tormentavano i suoi pensieri da tanto tempo.

Mentre bevevano il caffè, lo studiava nascosta dietro la tazzina. La postura delle mani e dei piedi quando si sedeva, il modo di togliere la sciarpa e sfilarsi il giubbotto. Il percorso delle gocce di pioggia che scivolavano giù dai capelli e scendevano lungo il collo. Il movimento della lingua sulle labbra dopo ogni sorso di caffe. Le sembrava di essere uscita dal proprio corpo e osservare la scena da lontano, da un altro tavolino, dall’esterno del locale, attraverso i vetri della porta.

Parlavano muovendo la bocca, ma dicendo tante altre cose con gli occhi. Lui sapeva tutto, sicuramente, ma lei non si sentiva imbarazzata. Era una sensazione strana e sensuale. Sentiva il profumo che arrivava dalla sua camicia e pensò assurdamente che non riusciva ad indovinare quale detersivo usasse, perché era da un po’ che non faceva nemmeno le lavatrici.

Sentì il filo carico di elettricità che accorciava le distanze, sopra le tazzine, parlando sempre più vicini. E, non si sa in quale momento, si trovò con delle labbra grandi e delicate che aprivano la sua bocca mentre assaporava il caffè da un’altra lingua. Fu un attimo. Un’implosione rumorosa dentro di sé. L’universo per un attimo concentrato sulle proprie labbra.

Un altro sorso di caffè e un sorriso. Forse il primo dopo settimane.

Poi il boato. Si aprì con forza la porta del bar. Stupida, stupida, era così vicino a casa quel bar…

Con incredibile compostezza e controllo il suo Principe la portò fuori dal locale. La mano talmente stretta sul braccio che i lividi sarebbero durati due settimane. Ma di quel momento lei avrebbe rammentato solo il calore sulle labbra e il sapore del caffè.

C’era una volta Cenerentola, che non ricordava più niente. Solo che le chiavi erano sparite, rubate da quella voce che non urla mai ma a cui non si può disubbidire.

Gli diceva tutti i pomeriggi che se ne pentiva amaramente. Ma poi si rifugiava tra le lenzuola sporche mentre il suo Principe andava chissà dove tutte le sere e non tornava più.

Nel cassetto del comodino aveva un piccolo ciuccio che lui non aveva mai visto. Il suo Principe, per liberarla dai ricordi, aveva buttato tutte le cose del bambino. Ma lei aveva premurosamente nascosto i suoi due piccoli tesori. Un sonaglio e un ciuccio.

Cenerentola lo metteva in bocca tutte le sere per addormentarsi e teneva stretto in mano il sonaglio, senza far rumore. E pensava al viso del suo bambino, che piano piano spariva nei ricordi, svanendo come una nuvola di fumo. Pensava al caffè e al sapore diverso che gli dà un’altra lingua. Pensava al bagnoschiuma, che stava quasi finendo e che il suo Principe si sarebbe sicuramente ricordato di comperare. Pensava alla finestra della cucina, che era da chiudere perché stava ancora nevicando.

C’era una volta Cenerentola, che si addormentò finalmente e sognò, come tutte le notti, che il Principe le riportava la scarpetta di cristallo perduta.

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